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L’albero di kaki bombardato a Nagasaki​

Mentre la Seconda Guerra Mondiale si intensificava, il 9 Agosto 1945 alle 11 e 2 minuti primi una lama di luce squarciò il cielo terso di Nagasaki. La città fu scelta come obbiettivo su cui sganciare la bomba atomica “Fat Man”, soprannominata così dall’esercito americano che voleva porre fine in questo modo alle ostilità con il Giappone. Le persone che vivevano vicino al punto in cui fu sganciata la bomba morirono quasi tutte all’istante. Questo terribile ordigno atomico uccise circa 73.000 persone ed il totale delle vittime, inclusi i feriti, ammonta ad oltre la metà dei 240.000 abitanti che in quel periodo risiedevano a Nagasaki. Innumerevoli case e campi furono distrutti dal fuoco. L’enorme esplosione e l’intenso calore sprigionati dalla bomba esplosa nel distretto di Urakami distrussero in un attimo l’intera città di Nagasaki e l’area circostante l’epicentro andò completamente bruciata: i vetri delle finestre si sciolsero, i tetti delle case si carbonizzarono e persino le pietre si annerirono a causa dell’intenso calore.

Fat-Man: nome in codice della bomba atomica sviluppata negli Stati Uniti attorno alla fine della seconda guerra mondiale. Fu così denominata in onore di Churchill, Primo Ministro ed esponente del partito dei Conservatori della Gran Bretagna. Fu sganciata da un caccia-bombardiere B29 nella parte settentrionale di Nagasaki e esplose a 550 m di distanza dal suolo. La produzione di questi ordigni continuò anche dopo la fine della guerra.

Il fuoco, inoltre, causò tantissimi danni. Ovviamente anche la popolazione non fu risparmiata: alcune persone saltarono in aria con l’esplosione, altre bruciarono ed i loro corpi furono carbonizzati, altre ancora furono semplicemente spazzate via e tra i feriti più gravi ci furono coloro la cui pelle bruciò a tal punto da lasciar intravvedere le ossa. Molti morirono sepolti dalle macerie delle case bruciate. Si racconta anche che tanti furono feriti dai pezzi di vetro o di altri materiali che in seguito all’esplosione volavano in tutte le direzioni: feriti così, come da un colpo di pistola. Molte persone, a causa delle terribili ustioni su tutto il corpo, per cercare un po’ di sollievo al gran dolore si gettarono nel fiume Urakami che scorre nel centro della città. Volti sfigurati dalle bruciature, braccia e gambe con appesi lembi di pelle penzolante, simili a vecchi stracci sgualciti, una moltitudine di persone che camminavano trascinando ciò che rimaneva dei loro vestiti: guardando i sopravvissuti allo scoppio della bomba sembrava di vedere una lunga fila di fantasmi. Ovunque, nei campi bruciati e nel fiume, c’erano cadaveri e feriti gravi. Questo scenario infernale si protrasse per più giorni.

Corpi di persone gravemente ferite vagavano nella città rasa al suolo dal fuoco, senza cibo, senza medicine e senza più una casa. Bambini in cerca dei propri famigliari. Neonati morti, tenuti stretti tra le braccia da madri impazzite dal dolore. Persone con la mente assente accasciate su se stesse. Alcuni cercavano disperatamente di sopportare il dolore delle ferite e delle ustioni. Morivano l’uno dopo l’altro. Le mosche affollavano i cadaveri il cui puzzo diffuso in tutta la città era nauseabondo. Passavano i giorni, ma il dolore e la disperazione sembravano non abbandonare mai la città. Inoltre, la bomba atomica produsse anche danni invisibili dovuti alle radiazioni. Le terribili ustioni e le cicatrici cheloidali furono dovute all’onda di calore intenso causata da quell’arma letale silenziosa dalla tremenda forza distruttrice. Anche coloro che si trovavano ad una ragionevole distanza dall’epicentro dello scoppio della bomba ne furono colpiti. Le radiazioni emanate dalla bomba distrussero le cellule del corpo anche a grande distanza. Causarono una serie di malattie che furono in seguito definite come “Le malattie della bomba atomica” e che si protrassero per oltre mezzo secolo: leucemie, tumori, anemie, malattie del fegato e molte altre. Le vittime soffrirono poi per tutto il resto della loro vita anche di effetti collaterali, non solo malattie o cicatrici cheloidali, ma anche disturbi psichici, esaurimenti nervosi, disordini psicologici, povertà e discriminazioni. Il numero di questi ultimi ammonta a circa 5.000.

A Nagasaki, in un campo distrutto dal fuoco, rimasero in piedi alcuni alberi di kaki. Erano a Wakakusa-machi, una zona vicino all’epicentro. Nonostante fossero quasi completamente anneriti dalle bruciature, nonostante il tronco e i rami presentassero cheloidi diffuse, quasi fossero interamente ricoperti da grumi di carbone ed in procinto di essere soffocati dalle grandi vampe di calore, nonostante tutto questo, miracolosamente uno di questi alberi di kaki viveva ancora e si reggeva ancora in piedi con tutte le sue forze. La cosa più stupefacente è che quell’albero non fu tagliato e nemmeno morì. Sopravvisse alla fine della guerra continuando a vivere con grande energia. E dopo mezzo secolo diede l’avvio al “Kaki Tree Project” ed alla sua diffusione nel mondo.